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lunedì 15 novembre 2010

Part time e trasformazione in contratto a tempo indeterminato

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. innanzi al Giudice del Lavoro di Genova un lavoratore, addetto all'esazione presso un casello autostradale, lamentava che il proprio rapporto di lavoro, formalmente instaurato part time, si era concretamente svolto secondo orari superiori ai limiti massimi stabiliti dal contratto collettivo e chiedeva l'accertamento di un rapporto di lavoro a tempo pieno con la società datrice di lavoro. Con sentenza del 2002 il Tribunale di Genova, in accoglimento del ricorso del lavoratore, accertava che tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro a tempo pieno a decorrere dal 1° marzo 1996 e condannava la società datrice di lavoro al pagamento delle relative differenze di retribuzione.

Tale decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d'Appello di Genova, che dichiarava la sussistenza del rapporto a tempo pieno con decorrenza dal 1999, rilevando che, alla stregua delle risultanze documentali, da tale data il ricorrente aveva prestato con continuità la sua attività di lavoro secondo orari uguali, o superiori, all'orario normale.

La società datrice di lavoro ricorreva, pertanto, per Cassazione deducendo che sussisteva piena compatibilità tra la prestazione ad orario ridotto e lo svolgimento di un'eventuale ulteriore attività da parte del lavoratore e che l'eventuale violazione della L. n. 863 del 1984 e delle disposizioni collettive sul contratto a tempo parziale non poteva avere come conseguenza la conversione del contratto da tempo parziale a tempo pieno.

Inoltre, la ricorrente lamentava che la decisone impugnata non avesse considerato che lo svolgimento del lavoro supplementare non poteva comportare, di per sé, l'esistenza di un rapporto a tempo pieno, in assenza degli ulteriori elementi distintivi di tale rapporto, in particolare non essendovi obbligo di reperibilità del lavoratore al di fuori dei turni programmati e ben potendo egli rifiutare le prestazioni supplementari, che venivano di volta in volta concordate; né, peraltro, poteva configurarsi alcuna novazione del rapporto, in mancanza degli elementi costitutivi di una fattispecie novativa e in presenza della mera modifica di modalità accessorie della prestazione.

La Corte di Cassazione ha ritenuto l'infondatezza dei suddetti motivi, conformandosi al principio giurisprudenziale consolidato secondo il quale un rapporto di lavoro a tempo parziale può trasformarsi in rapporto di lavoro a tempo pieno per fatti concludenti, nonostante la difforme pattuizione iniziale, a causa della continua prestazione di un orario di lavoro pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, non occorrendo a tal fine alcun requisito formale (cfr. Cass. Sez. Lav. n. 5520 del 2004; Cass. Sez. Lav. n. 6226 del 2009; Cass. Sez. Lav. n. 25891 del 2008; Cass. Sez. Lav. n. 3228 del 2008).

Sulla base di tali principi, la Suprema Corte ha, quindi, osservato come la Corte d'Appello avesse correttamente evidenziato che le ragioni del decisum andavano individuate in relazione alla concreta esecuzione del contratto di lavoro stipulato tra le parti, facendo quindi applicazione del principio secondo cui, in relazione ai diritti spettanti al lavoratore per la sua attività lavorativa, non fosse decisivo il negozio costitutivo del rapporto, ma il rapporto nella sua concreta attuazione.

Risulta, quindi, del tutto inutile, secondo la Corte, «ogni discussione in ordine alla possibilità di riscontrare o meno una volontà novativa delle parti, una volta che sia stata dimostrata la costante effettuazione di un orario di lavoro prossimo (o, come nel caso che ne occupa, addirittura superiore) a quello stabilito per il lavoro a tempo pieno».

La Suprema Corte ha altresì rilevato che nella specie, la configurazione di un comportamento negoziale concludente, nel senso di modificare stabilmente l'orario di lavoro, era pure conseguente all'accertamento che la prestazione eccedente quella inizialmente concordata - resa in modo continuativo secondo modalità orarie proprie del lavoro a tempo pieno, o addirittura con il superamento dell'orario normale - non rispondeva ad alcuna specifica esigenza di organizzazione del servizio, idonea a giustificare, secondo le previsioni della contrattazione collettiva, l'assegnazione di ore ulteriori rispetto a quelle negozialmente pattuite.

Né poteva influire la circostanza che il lavoratore, in astratto, non fosse soggetto a reperibilità per tali ore eccedenti e fosse libero di rifiutare la prestazione oltre l'orario del part time, posto che - come la Corte d'Appello aveva puntualmente rilevato - l'effettuazione, in concreto, delle prestazioni richieste dalla datrice di lavoro, con la continuità risultante dalle buste paga, aveva evidenziato l'accettazione della nuova regolamentazione, con ogni conseguente effetto obbligatorio, così risultandone, di fatto, una modifica - per niente accessoria - dei contenuti del sinallagma negoziale.

fonte il sole 24ore

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