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giovedì 24 marzo 2011

Licenziamento: l'indennità di mobilità non si può detrarre dall'indennità risarcitoria

In materia di risarcimento del danno a favore del lavoratore illegittimamente licenziato, il datore di lavoro non può detrarre quanto percepito da quest'ultimo a titolo di indennità di mobilità, atteso che la stessa va intesa come non acquisita essendo ripetibile dagli Istituti previdenziali.

Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 14 febbraio 2011, n. 3597, che ha nuovamente sostenuto che, nell'ipotesi sopra illustrata, non si applica il principio della detrazione del c.d. aliunde perceptum, ovverosia del principio di compensatio lucri cum damno.

Come noto, i lavoratori collocati in mobilità nel corso dell'intervento della C.i.g.s. o ai quali sia stato intimato un licenziamento per riduzione del personale ai sensi dell'art. 24 della L. n. 223 del 1991 hanno diritto a beneficiare, qualora ricorrano i presupposti di legge, dell'indennità di mobilità. Tale indennità deve essere richiesta all'Inps ed è corrisposta dallo stesso Istituto. La sua elargizione può essere sospesa per i giorni in cui il beneficiario, pur mantenendo l'iscrizione nelle liste di mobilità, svolge attività di lavoro subordinato.

La legge nulla dice in merito alla "sorte" dell'indennità di mobilità nell'ipotesi in cui il lavoratore illegittimamente licenziato sia reintegrato e debba essergli corrisposta l'indennità risarcitoria nella misura di cui all'art. 18 Stat. Lav.

Questa indennità, come noto, è commisurata alla "retribuzione globale di fatto" percepita dal lavoratore e spetta dal dì del licenziamento alla effettiva reintegra. Tuttavia, ma da un punto di vista normativo non vi è alcuna specificazione in ordine alla detraibilità o meno delle somme che il lavoratore ha percepito o avrebbe potuto percepire nelle more della reintegrazione stessa, se non l'applicabilità del principio fissato dall'art. 1227 cod. civ., che prevede la riduzione del risarcimento in caso di concorso colposo del creditore o l'esclusione del risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (c.d. aliunde perceptum et percipiendum).

La vicenda trae spunto dal ricorso presentato da un lavoratore, dipendente di una nota società, licenziato ai sensi della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24, in ragione di un asserito "ridimensionamento strutturale dell'impresa, variazioni delle condizioni di mercato e conseguenti problemi di natura finanziaria". Il recesso veniva dichiarato inefficace dal Tribunale e la società condannata a reintegrare il lavoratore ed a risarcirlo del danno subito, versandogli un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

La pronuncia di primo grado veniva confermata dalla Corte d'Appello.

La società ricorreva per cassazione, deducendo - oltre ad un altro motivo di impugnazione anch'esso respinto - che, in ragione degli artt. 1123 e 1227 cod. civ. e della L. n. 300 del 1970, art. 18, l'indennità dovuta in caso di licenziamento illegittimo doveva essere ridotta tenuto conto del cosiddetto aliunde perceptum, nella specie di quanto il lavoratore, dopo la decisione di primo grado, aveva percepito per aver avviato un rapporto di lavoro con un altro soggetto. Anzi, vi era di più: la Corte d'Appello aveva omesso di considerare come aliunde perceptum l'importo dell'indennità di mobilità.

La Cassazione ritiene non fondato il motivo di censura.

La Corte osserva, in proposito, di aver già avuto modo di affermare che le indennità previdenziali non possono essere detratte dalle somme alle quali il datore di lavoro è stato condannato, dovendosi ritenere esse non acquisite in via definitiva dal lavoratore e ripetibili dagli Istituti previdenziali (Cass. n. 10531 del 2004 e n. 6265 del 2000).

Fin qui la sentenza in rassegna, che richiamando due precedenti, non si dilunga in spiegazioni, dando per pacifico il principio formulato.

In effetti, la giurisprudenza è conforme in materia.

Si possono richiamare, tra le più recenti, anche alcune decisioni dei giudici di merito, che forniscono ulteriori elementi di valutazione, anche in merito a indennità diverse da quella di mobilità, quali l'indennità percepita nel corso della cassa integrazione o quella di disoccupazione: "Le indennità previdenziali non possono essere detratte a titolo di aliunde perceptum dal risarcimento dovuto al lavoratore a seguito del licenziamento illegittimo, deponendo in tal senso sia la diversità dei titoli di erogazione, sia dei soggetti obbligati alla prestazione. Infatti l'indennità di mobilità viene erogata per finalità di assistenza e solidarietà sociale da un ente pubblico (che è l'unico legittimato a chiederla in restituzione) laddove il risarcimento del danno per effetto del licenziamento illegittimo compete al datore di lavoro (il quale non può avvantaggiarsi di misure a sostegno del lavoratore)" (Trib. Latina, 10 febbraio 2010).

Anche la Corte di Appello di Roma (sentenza del 26 maggio 2005) è in linea col suddetto orientamento. Le somme percepite dal lavoratore in relazione alla C.i.g.s. ed alla indennità di mobilità "hanno indiscutibilmente natura previdenziale (v. fra le tante Cass. n. 6665/2000 in relazione alla C.i.g.s.; Cass. n. 14973/2001 e Cass. n. 5009/2004 in ordine alla indennità di mobilità). Ne discende che ad esse possono essere estesi i principi più recentemente affermati in relazione alle prestazioni pensionistiche (Cass. n. 2529/2003; Cass. n. 13715/2004), in virtù dei quali è stato ritenuto che i proventi di tale natura si sottraggano alla regola della "compensatio lucri cum damno", in primo luogo perché deve considerarsi a titolo di "aliunde perceptum" non qualsiasi reddito percepito dal lavoratore, bensì solo quello conseguito attraverso l'impiego della medesima capacità lavorativa (e tale non è quello derivante da prestazioni previdenziali che, oltre tutto, discendono dal verificarsi dei requisiti a tal fine stabiliti dalla legge); ed in secondo luogo in quanto tali proventi non possono considerarsi definitivamente acquisiti al patrimonio del lavoratore, essendo ripetibili dall'ente previdenziale allorché vengano a cadere i presupposti per la sua erogazione".

Nello stesso senso si è pronunciata la Suprema Corte (n. 6342 del 16 marzo 2009): "Le indennità previdenziali non possono essere detratte, a titolo di aliunde perceptum, dal risarcimento dovuto al lavoratore a seguito del licenziamento illegittimo intimato dal datore di lavoro, deponendo in tal senso sia la diversità dei titoli di erogazione che dei soggetti obbligati (cfr. ad es. Cass. n. 18687/2006; Cass. n. 18137/2006; Cass. n. 2928/2005; Cass. n. 3904/2002). E tale conclusioni valgono anche per l'indennità di mobilità, che costituisce una indennità (sostitutiva del trattamento) di disoccupazione, erogata per finalità di assistenza e di solidarietà sociale da un ente pubblico, che è l'unico legittimato a chiederla in restituzione, e che non può essere vanificata sulla base del distinto piano del rapporto di lavoro, consentendo al datore di lavoro, nonostante l'annullamento dell'atto di recesso, di avvantaggiarsi, quantomeno indirettamente, di misure di sostegno poste a tutela del lavoratore".

La particolarità di quest'ultima decisione della Cassazione è nel tener ferma l'applicabilità del ridetto principio anche nell'ipotesi in cui il lavoratore in luogo della reintegrazione eserciti la c.d. opzione, di cui al comma 5 dell'art. 18, ovvero la percezione di un'indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto: in sostanza, l'indennità risarcitoria per il licenziamento illegittimo rimane dovuta e l'indennità di mobilità resta indetraibile.

In proposito, la Corte ha affermato che "l'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro, che grava sul datore di lavoro, a norma dell'art. 18 Stat. Lav., si estingue soltanto con il pagamento dell'indennità sostitutiva della reintegrazione, prescelta dal lavoratore illegittimamente licenziato, e non già con la semplice dichiarazione di opzione proveniente da quest'ultimo. Ne consegue la permanenza dell'obbligazione risarcitoria del datore di lavoro, posto che il cit. art. 18, comma 5, attribuisce al lavoratore la facoltà di optare per l'indennità sostitutiva, fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto dal comma 4, e che il diritto a far valere, quale titolo esecutivo, la sentenza che, nel disporre la reintegrazione, attribuisce a titolo risarcitorio le retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento a quella della riassunzione, non vien meno per effetto della dichiarazione di opzione, sino a quando il datore di lavoro non abbia eseguito la suddetta prestazione (v. per tutte ad es. Cass. n. 12514/2003)".


Cassazione civile - Sentenza 14 febbraio 2011, n. 3597.

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