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giovedì 17 febbraio 2011

L'indennizzo dei lavoratori a termine al giudizio di costituzionalità

L’indennizzo dei lavoratori a termine al giudizio di costituzionalità
Con sentenza 28 gennaio 2011, n. 2112, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 32, commi 5 e 6 della Legge 4 novembre 2010, n. 183. In particolar modo è stato rimesso alla corte la questione di legittimità dell’articolo 32, nella parte in cui nei casi di conversione a tempo indeterminato dovuto a illegittima apposizione del termine, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Dopo aver premesso che la nuova normativa sui contratti a termine si applica a ‘tutti i giudizi compresi quelli pendenti alla data di entrata di entrata della Legge’, incluso quello in Cassazione, la Corte osserva che ‘l’illegittima apposizione del termine non incide sulla continuità del rapporto’, e pertanto l’indennità risarcitoria è aggiuntiva e non sostitutiva alla sanzione della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

In ogni caso, l’applicazione di una indennità onnicomprensiva a titolo di risarcimento del danno - in alternativa all’integrale risarcimento consistente nelle retribuzioni dalla data di cessazione del rapporto sino alla sua ripresa, decurtato quanto eventualmente percepito da altra attività lavorativa – esclude di fatto l’applicazione di qualsiasi altro credito del lavoratore, indennitario o risarcitorio che sia.

Pertanto, la suddetta disposizione contenuta nell’articolo 31 del c.d. ‘Collegato Lavoro’ contrasterebbe con gli articoli 3 comma 2, art.4 , 24, 111 e 117 Costituzione.
Di fatto, la liquidazione di un’indennità contenuta in poche mensilità retributive, è in contrasto con :

- il principio di ragionevolezza nonché di effettività del rimedio giurisdizionale espressi negli articoli 3, 24 e 111 Cost. ; in particolar modo tenendo presente che la negazione del risarcimento in misura pari alle retribuzione perdute fino al momento dell’effettiva riammissione in servizio, stante l’incertezza della durata del processo e il conseguente aumento del danno con la decorrenza del tempo, vanifica il diritto del cittadino al lavoro e nuoce all’effettività della tutela giurisdizionale, in quanto ‘il principio affermato da quasi secolare dottrina processualista, oggi espresso dagli artt. 24 e 111,Cost. esige l’esatta, per quanto materialmente possibile, corrispondenza tra la perdita conseguita alla lesione del diritto soggettivo e il rimedio ottenibile in sede giudiziale’.Infatti, ‘la liquidazione di un'indennità eventualmente sproporzionata per difetto rispetto all'ammontare del danno può indurre il datore di lavoro a persistere nell'inadempimento, eventualmente tentando di prolungare il processo oppure sottraendosi all’esecuzione della sentenza di condanna, non suscettibile di realizzazione in forma specifica’.

- L’obbligo internazionale assunto dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo il cui articolo 6, nel volere il diritto di ogni personale al giusto processo, impone al potere legislativo di non intromettersi nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla decisione di una singola controversia o un gruppo di esse [Articolo 117 Cost.];

- Il diritto al lavoro del cittadino, di cui all’articolo 4 Cost. in quanto ‘la sproporzione fra la tenue indennità ed il danno, che aumenta con la permanenza del comportamento illecito del datore di lavoro, sembra in contrasto con la direttiva CE/1999/70 che impone di sanzionare l’utilizzazione abusiva dei rapporti di lavoro a termine.

Alla luce delle suddette argomentazioni, la limitazione dell’indennità operata ai sensi dell’articolo 35 della Legge n. 183/2010 non sembra giustificata e pertanto la Corte ha previsto la sospensione del giudizio.

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