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venerdì 4 febbraio 2011

APPALTO E DISTACCO

Per appalto si intende, nel pieno rispetto del dato normativo, art. 1655 c.c., il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.
In altre parole, l’appalto è un contratto con il quale un soggetto, detto committente, incarica un imprenditore, l’appaltatore, di realizzare una determinata opera oppure un servizio in cambio di un corrispettivo in denaro.
Quando l’appaltatore, a sua volta, cede ad un terzo, c.d. subappaltatore, previa autorizzazione del committente, l’esecuzione dell’opera o del servizio oggetto del contratto, si ha un subappalto.
La legge 1369/60 poneva in modo categorico il divieto assoluto di stipulare il predetto contratto laddove lo stesso avesse ad oggetto mere prestazioni di lavoro.
La legge richiamata ha avuto cura di precisare che “è considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante”.
Affinché, quindi, l'appalto possa considerarsi genuino l'appaltatore non deve essere un semplice intermediario ma un vero e proprio imprenditore che, come tale, impieghi una propria organizzazione produttiva ed assuma i rischi della realizzazione dell'opera o del risultato.

In relazione all'appalto non genuino la Cassazione ha avuto modo di precisare che sussiste un'ipotesi di contratto non genuino qualora l'appaltatore manchi di una gestione a proprio rischio e di un'autonoma organizzazione da verificarsi in concreto.

Qualora si dovesse riscontrare l’illegittimità del contratto in esame, ci si troverà innanzi ad un’ipotesi di somministrazione di manodopera irregolare in considerazione del fatto che l’appaltatore/somministratore non è un soggetto autorizzato a somministrare attività lavorativa.
Ancora, la legge prevede espressamente che in caso di violazione delle prescrizioni normative, in virtù di quanto espressamente disposto dall’art. 29, comma 3, del d. lgs. 276/03, il lavoratore interessato potrà legittimamente richiedere, mediante ricorso giudiziale, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente.
In conclusione, si è in presenza di un appalto non genuino, e quindi di un’interposizione illecita di manodopera quando l’appaltatore si limiti a fornire al committente mere prestazioni di lavoro, abdicando all’esercizio del potere direttivo nei confronti dei propri lavoratori ed al suo dovere di organizzare l’intera prestazione o del servizio in vista di un risultato produttivo autonomo, evidenziando così la carenza di un’imprenditorialità adeguata all’oggetto del contratto.

Per quanto concerne il distacco, invece, è necessario riscontrare ed accertare la presenza di due indefettibili requisiti quali:

a) l’interesse del datore di lavoro/distaccante;

b) la temporaneità del distacco stesso.

Sull’interesse del distaccante è intervenuto il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la circolare 28/2005 approfondendo le caratteristiche che questo requisito deve rivestire.

Secondo l’interpretazione ministeriale, innanzitutto, quale diretta conseguenza del requisito dell’interesse, il distacco deve fare riferimento ad un’attività lavorativa determinata e non generica.

Il requisito dell’interesse, può consistere in qualsiasi interesse economico, organizzativo, produttivo del distaccante che però non deve coincidere con quello della mera somministrazione di lavoro altrui e deve essere legato alle esigenze dell’impresa piuttosto che dell’imprenditore in quanto persona fisica.
L’interesse al puro e semplice risparmio del costo del lavoro è ammesso solo ed esclusivamente nelle aziende in crisi, al fine di evitare il licenziamento di alcuni dipendenti e previo accordo sindacale
Occorre infine precisare che l’interesse del datore distaccante deve necessariamente permanere per tutto il periodo nel quale il lavoratore è comandato ad effettuare la propria prestazione presso un’altra azienda.

Il venir meno dell’interesse, per avvenuto soddisfacimento dello scopo o il suo cessare, determina l’immediata carenza di un requisito essenziale e comporta l’illegittimità del distacco ove si prolunghi oltre.

A fondamento della destinazione di un dipendente presso un terzo vi possono essere ragioni di controllo dell’attività del fornitore o di un altro soggetto, collaborazione per la migliore riuscita del prodotto, piena messa in opera ed addestramento delle maestranze dopo la fornitura di un macchinario complesso.

In merito al requisito della temporaneità invece, il distacco deve essere limitato nel tempo e cioè non definitivo ed, inoltre, può avvenire in presenza di un interesse del datore di lavoro distaccante alla realizzazione della prestazione del lavoratore presso un soggetto terzo.

La legge non prevede un termine minimo o massimo. Il distacco è lecito anche per lunghi periodi, purché legato ad una data certa ovvero al compimento di un’opera o di un servizio.

Se manca la temporaneità si è in presenza di un trasferimento.

1 commento:

Unknown ha detto...

Ho apprezzato molto
Grazie
ing. Massimo Di Mario