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mercoledì 9 giugno 2010

Conseguenze del mancato esercizio di un diritto per lungo tempo

Il mancato esercizio di un diritto per un tempo sufficientemente lungo, determina la perdita della posizione di vantaggio riconosciuta ad un soggetto, in quanto la controparte ritiene determinatosi l’abbandono della pretesa a suo tempo avanzata, Cass. Sezione lavoro 4 maggio 2010, n. 10712.
La questione sottoposta al vaglio della Corte, riguarda la richiesta presentata da un lavoratore al proprio datore di lavoro, prima del compimento del sessantesimo anno di età, di prolungare la sua permanenza al lavoro fino al sessantacinquesimo anno.
Allo scadere del sessantesimo anno, il datore di lavoro decideva di non proseguire il rapporto di lavoro in essere e il lavoratore veniva unilateralmente collocato a riposo dall’azienda, che non concedeva la possibilità di prosecuzione del rapporto di lavoro.
Il lavoratore decide quindi di far trascorrere quasi cinque anni prima di presentare ricorso per la mancata concessione del diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro, richiedendo, a titolo di risarcimento del danno, il pagamento delle retribuzioni perdute dalla data di collocamento a riposo fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età.
Il giudice del lavoro a cui veniva presentato il ricorso, procedeva al rigetto della richiesta del lavoratore. Il lavoratore ricorreva in Appello,e in quella sede la sentenza precedente veniva ribaltata con conseguente condanna del datore di lavoro alla corresponsione al lavoratore dell’ammontare delle retribuzioni dovute per il periodo ricompreso dalla data di collocazione in quiescenza ( sessant’anni) e sino al compimento del 65° anno di età.
Tale posizione assunta dalla Corte veniva motivata dal fatto che il lavoratore aveva presentato al proprio datore di lavoro la richiesta di prosecuzione dell’attività lavorativa nei termini previsti ( prima del compimento del sessantesimo anno di età) e che non fossero necessarie e tantomeno richieste, ulteriori reiterazioni della domanda stessa.
Il datore di lavoro sottopone la questione alla Corte di Cassazione, la quale nell’esprimere il proprio giudizio, si sofferma sul comportamento assunto dal lavoratore nel periodo che va dall’interruzione del rapporto di lavoro fino alla richiesta di risarcimento del danno.
In questo situazione, argomenta la Corte, il lavoratore non ha mai provveduto ad offrire la propria prestazione lavorativa presso l’azienda, rimanendo in una situazione di totale inerzia, fino alla proposizione del ricorso.
In questa situazione, il lavoratore pur trovandosi in una posizione creditoria, non ha provveduto a metter in atto comportamenti che lasciassero intendere la volontà di voler esercitare il suo diritto di credito . Tale situazione ha generato nella controparte ( il datore di lavoro) , tenuto conto anche del lungo lasso di tempo trascorso ( quasi cinque anni), dell’intenzione del lavoratore di abbandonare la relativa pretesa creditoria, alla luce dei principi di correttezza e buona fede contenuti negli articoli 1175 e 1375 del codice civile.

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