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mercoledì 23 giugno 2010

Apprendistato: ripristinata la competenza regionale sul "canale aziendale" della formazione

Anche nell'ipotesi di apprendistato, con formazione esclusivamente aziendale, deve essere riconosciuto alle Regioni un ruolo rilevante, di stimolo e di controllo dell'attività formativa. Viene così eliminata la facoltà per la contrattazione collettiva di regolamentare autonomamente ed interamente la formazione in apprendistato, senza tener conto della disciplina regionale.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 14 maggio 2010, n. 176, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 23, comma 2 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, in legge con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui modifica l'articolo 49 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), limitatamente alle parole «non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi», «integralmente» e «definiscono la nozione di formazione aziendale e».

La norma dichiarata illegittima consentiva alla contrattazione collettiva di disciplinare per intero la formazione da svolgersi per l'adempimento degli obblighi formativi previsti per chi utilizza il contratto di apprendistato professionalizzante, creando, di fatto, il c.d. canale aziendale della formazione.

Prima di entrare nel merito della pronuncia della Consulta, che avrà importanti effetti nell'ambito dell'equilibrio dei poteri e competenze tra i vari soggetti facenti parte della specifica tipologia contrattuale, è utile inquadrare sinteticamente il contratto in questione, con particolare riferimento ai profili valutati dalla sentenza in rassegna.

Come noto, il D.Lgs. n. 276/2003 (c.d. Riforma Biagi) ha introdotto, con l'art. 49, una tipologia di apprendistato denominato "apprendistato professionalizzante", che si caratterizza per essere un contratto di lavoro subordinato a causa mista: è attivabile per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro ed è finalizzato all'acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali. Tale percorso non porta tuttavia all'acquisizione di un titolo di studio del sistema di istruzione e formazione professionale, ma all'accrescimento delle capacità tecniche dell'individuo al fine di farlo diventare un lavoratore qualificato.

Il richiamato D.L. n. 112/2008 (noto anche come "decreto Brunetta"), apportando alcune modificazioni alla disciplina normativa dell'apprendistato introdotta nel 2003, ha eliminato il limite di due anni come durata minima del rapporto (lasciando a sei anni la durata massima), aprendo così la strada all'utilizzo del contratto di apprendistato anche nei rapporti di lavoro avviati nelle attività stagionali (comma 3, art. 49 cit.).

Inoltre, il D.L. n. 112/2008 ha abrogato il comma 5-bis del D.Lgs. n. 276/2003 che prevedeva, fino all'approvazione delle leggi regionali regolanti i profili formativi dell'apprendistato, la rimessione della disciplina dell'apprendistato professionalizzante ai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In effetti, in ottemperanza al disposto del comma 5-bis (poi abrogato), alcune Regioni avevano emanato la relativa normativa (ad esempio, la Regione Lazio, con la L. 10 agosto 2006, n. 9 e con il Regolamento 21 giugno 2007, n. 7).

Arrivando al tema trattato dalla Corte Costituzionale, si evidenzia che l'art. 23, comma 2, del D.L. n. 112 del 2008 aveva aggiunto all'art. 49 del D.Lgs. n. 276 del 2003 il comma 5-ter, che così recitava: "In caso di formazione esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo".

Questa disposizione - che dichiarava inoperante la previsione del precedente comma 5 dello stesso articolo per il quale "la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante è rimessa alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni dei datori di lavoro e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale" - è stata impugnata da alcune Regioni (Toscana, Piemonte, Marche, Emilia-Romagna, Liguria, Puglia e Basilicata).

In sintesi, la norma sottoposta al vaglio di legittimità - in verità criticata sin dalla sua emanazione per gli evidenti profili di contrarietà alla Costituzione - prevedeva che in caso di formazione esclusivamente aziendale, la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante non fosse definita dalle Regioni d'intesa con le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, ma soltanto dai contratti collettivi di lavoro.

Le Regioni lamentavano che la suddetta norma fosse lesiva delle loro competenze legislative riconosciute dall'art. 117 della Cost., in quanto la norma censurata assegnava alla contrattazione collettiva la funzione di fonte esclusiva, in luogo di quella regionale, anche nella definizione della nozione di formazione aziendale, dei profili formativi, delle modalità di erogazione, della durata della formazione, nel riconoscimento della qualifica professionale, e ciò pur in presenza di una compiuta disciplina regionale.

Inoltre, le Regioni evidenziavano che la norma del D.L. n. 112/2008, operando una distinzione tra formazione "interna" all'azienda, che attiene al rapporto contrattuale ed è rimessa alla competenza statale, e formazione "esterna" all'azienda, da ricondurre ai profili "pubblicistici" dell'istituto, e quindi soggetta alla competenza legislativa concorrente regionale, non terrebbe conto delle strette interrelazioni che vi sono tra l'aspetto della formazione esterna e quello della formazione interna.

I rilievi di incostituzionalità sono ritenuti fondati.

La Corte, infatti, osserva che la formazione aziendale rientra nel sinallagma contrattuale e quindi nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento civile. Peraltro, se è vero che la formazione all'interno delle aziende inerisce al rapporto contrattuale, sicché la sua disciplina rientra nell'ordinamento civile, e che spetta invece alle Regioni e alle Province autonome disciplinare quella pubblica, è altrettanto vero che nella regolamentazione dell'apprendistato né l'una né l'altra appaiono separate nettamente tra di loro e da altri aspetti dell'istituto, con la conseguenza che occorre perciò tener conto di tali interferenze.

Queste interferenze sono correlative alla naturale proiezione esterna dell'apprendistato professionalizzante e all'acquisizione da parte dell'apprendista dei crediti formativi, utilizzabili nel sistema dell'istruzione - la cui disciplina è di competenza legislativa concorrente - per l'eventuale conseguimento di titoli di studio.

Nella specie, prosegue la Corte, di tali interferenze non si è tenuto conto e ciò determina l'illegittimità costituzionale della norma - per contrasto con gli artt. 117 e 120 Cost. nonché con il principio di leale collaborazione -, in primo luogo con riguardo alle parole "non opera quanto previsto dal comma 5". In questa ipotesi dal momento che siffatta inapplicabilità finisce per rendere inoperante, senza alcun ragionevole motivo, il principio enunciato nel primo periodo del comma 5, secondo cui "la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante, è rimessa alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale", anche nel rispetto della legislazione regionale intervenuta, o che potrebbe intervenire, ai sensi della disposizione citata, come rilevato dalla Regione Lazio, che fa riferimento alla propria L. regionale 10 agosto 2006, n. 9 (Disposizioni in materia di riforma dell'apprendistato).

Inoltre, la Consulta afferma che occorre parimenti dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma in questione (art. 23, comma 2, D.L. n. 112/2008) limitatamente alla parola "integralmente", la quale rimette esclusivamente ai contratti collettivi di lavoro o agli enti bilaterali i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante, nonché alle parole, riferite ai contratti collettivi e agli enti bilaterali, secondo le quali essi "definiscono la nozione di formazione aziendale e".

Le suindicate espressioni, infatti, escludendo l'applicazione del precedente comma 5 dell'art. 49 del D.Lgs. n. 276/2003, sono anch'esse lesive dei suddetti parametri costituzionali, perché si traducono in una totale estromissione delle Regioni dalla disciplina in esame. Esse, anzi, appaiono particolarmente lesive, in quanto la definizione della nozione di formazione aziendale costituisce il presupposto dell'applicazione della normativa di cui si tratta e il fatto che lo Stato abbia stabilito come tale definizione debba avvenire e, quindi, implicitamente come vada definita la formazione esterna (di competenza regionale), denota che esso si è attribuito una "competenza sulle competenze" estranea al nostro ordinamento.

Infatti, così come le Regioni non possono, nell'esercizio delle proprie competenze, svuotare sostanzialmente di contenuto la competenza statale - come è stato sottolineato, in materia di apprendistato, fra l'altro, nella sentenza Corte Cost. n. 418 del 2006 - analogamente non è ammissibile riconoscere allo Stato la potestà di comprimere senza alcun limite il potere legislativo regionale.

Nella specie, lo Stato si è unilateralmente attribuito il potere di disciplinare le fonti normative per identificare il discrimine tra formazione aziendale (la cui disciplina gli spetta) e formazione professionale extra aziendale (di competenza delle Regioni), escludendo così qualsiasi partecipazione di queste ultime.

In sintesi, anche nell'ipotesi di apprendistato, con formazione rappresentata come esclusivamente aziendale, deve essere riconosciuto alle Regioni un ruolo rilevante, di stimolo e di controllo dell'attività formativa.

La Corte, di conseguenza, conclude nel ritrascrivere letteralmente il testo del comma 5-ter in oggetto, a seguito delle disposte dichiarazioni di illegittimità costituzionale, che andrà quindi letto nel seguente modo, nell'ambito del sistema normativo nel quale si inserisce: "In caso di formazione esclusivamente aziendale i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante sono rimessi ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo".

L'esito della sentenza è piuttosto interessante, perché accoglie nella sostanza il rilievo delle Regioni e smantella il cardine dell'articolo 23, ossia che in caso di formazione esclusivamente aziendale la sola autorità prevista fossero i contratti collettivi, stipulati a qualsiasi livello, e/o gli enti bilaterali.

Si è quindi tornati, in sostanza, alla situazione più simile a quella antecedente al varo del D.L. n. 112/2008, con il ripristino della titolarità delle Regioni nel definire i profili formativi dell'apprendistato, e una funzione di temporanea e transitoria titolarità della contrattazione collettiva nazionale fino a quando (tutte) le Regioni non abbiano legiferato in materia, compresa la valorizzazione della formazione interna all'impresa, purché abbia caratteristiche specifiche (funzioni aziendali preposte alla formazione, locali dedicati, tutor).

D'altra parte, occorre precisare che il potere (ri)affidato alle Regioni di legiferare in materia di formazione aziendale va ad incidere proprio su quella che è una caratteristica essenziale del contratto in esame.

Infatti, si rileva che l'apprendistato professionalizzante, che può essere stipulato con soggetti dai 18 ai 29 anni di età, ovvero dai 17 anni per i lavoratori già in possesso di una qualifica professionale, deve essere stipulato per iscritto e deve contenere, oltre l'indicazione della prestazione lavorativa a cui il lavoratore verrà adibito e la qualifica professionale che potrà essere conseguita al termine del rapporto sulla base degli esiti della formazione aziendale o extraziendale, anche il piano formativo individuale generale e di dettaglio, nonché il rapporto sulla base degli esiti della formazione aziendale od extraziendale.

È stabilito che i criteri e i principi direttivi cui le Regioni devono attenersi nel regolamentare i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante sono definiti con deliberazione della Giunta regionale, previo accordo con le associazioni dei datori di lavoro e prestatori di lavoro. A titolo di esempio, la Regione Lazio ha approvato il Repertorio regionale dei profili formativi per questa tipologia di contratto.

Il piano formativo individuale generale prevede un percorso formale e non formale, coerente con il profilo formativo di riferimento, che l'apprendista deve seguire durante il periodo del contratto.

Contestualmente, l'impresa deve redigere un piano formativo di dettaglio (secondo un modello predisposto), da aggiornare ogni anno, che specifichi i contenuti, i tempi e i luoghi della formazione formale, con la possibilità per l'impresa di avvalersi per la stesura del piano formativo individuale di dettaglio di strutture individuate con atto della Direzione regionale competente in materia di formazione.

La formazione formale può essere impartita all'esterno dell'impresa (nell'ambito di istituzioni scolastiche e formative, di università, centri di formazione accreditati), o all'interno dell'impresa, purché in luoghi non destinati alla produzione (in tal caso è necessario avere la disponibilità di locali, attrezzature e macchinari, formatori con competenza adeguata, tutori aziendali).

Va precisato che per formazione non formale si intende la formazione in contesto produttivo o di lavoro, tesa a conseguire un'abilità tecnico-operativa, sotto la guida di un tutore aziendale.

Il tutore aziendale è individuato dal datore di lavoro tra persone con qualifica adeguata a quella che l'apprendista deve conseguire, deve possedere almeno tre anni di esperienza nel settore e non può affiancare più di cinque apprendisti. Il tutore è garante del percorso formativo ed esprime proprio parere sulle competenze acquisite dall'apprendista.

Al termine del percorso formativo, l'impresa e/o la struttura di formazione esterna, devono rilasciare all'apprendista l'attestazione della qualificazione professionale, valida per la registrazione nel libretto formativo.

Il giovane che ha concluso un rapporto di apprendistato (con almeno 240 ore di formazione formale), ha facoltà di richiedere l'ammissione all'esame al competente Servizio per la formazione della Provincia, per il conseguimento della qualifica professionale, ed il competente Servizio per la formazione, verificata l'ammissibilità, darà comunicazione all'interessato indicando la sede e la data di svolgimento della prova d'esame.

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